Una umanità ferita e sofferente bussa alle porte dell’Europa; sono bambini, donne e uomini intrappolati su barconi fatiscenti, che devono essere salvati dal mare: si possono forse respingere esseri umani disposti ad affrontare un lungo, faticoso viaggio per sfuggire alla guerra o alla fame, persone che provengono da Paesi dove non sono neppure garantiti i diritti umani?
Abbiamo intervistato un mediatore di origini senegalesi, residente nella nostra zona, che parla 7 dialetti subsahariani e per questo collabora come traduttore con varie questure e prefetture d’Italia. E plaude alle iniziative del nostro Paese.
M.S. ha accettato di rispondere alle nostre domande per aiutarci a capire, ad esempio, che cosa succede quando sbarca una persona proveniente dal mare.
E’ un fenomeno complesso che riguarda migliaia di persone nel Mediterraneo: “La grande massa di persone che sbarca in Italia proviene dalla Libia, che è comunque un Paese di transito per migranti di altre nazionalità̀ africane” spiega il nostro interlocutore, mediatore culturale di origine senegalese, che preferisce rimanere anonimo per tutelare il segreto professionale. “I migranti una volta sbarcati nel porto vengono sottoposti a un primo screening sanitario che prevede il rilascio di un certificato medico, per consentirne il trasferimento nei luoghi di accoglienza. All’arrivo nei centri di accoglienza si provvede subito all’identificazione. Spesso non è facile individuare il Paese di provenienza dei migranti, per problemi di lingua o di reticenza ed è qui che è richiesto un primo intervento del mediatore culturale, per aiutare chi è in difficoltà, per chi ha paura, per chi è sotto choc per il viaggio o le molestie subite; da qui vengono poi trasferiti nelle varie regioni italiane. L’operazione di identificazione (fotografia, impronte digitali e palmari), effettuata nei luoghi di destinazione dei migranti, può̀ diventare un’azione complicata perché molti stranieri la rifiutano. La convenzione di Dublino prevede infatti che il migrante debba chiedere asilo nel Paese di primo ingresso in Europa, dove lui spesso invece non vuole rimanere, ed è per questo che non vogliono lasciare traccia del loro passaggio; in tanti, infatti, vorrebbero raggiungere il centro e il nord d’Europa per poi presentare lì la loro richiesta di asilo, pensando che in Paesi come la Germania o la penisola Scandinava ci siano più possibilità di inserimento e che lo stato sociale sia più evoluto“.
M.S. collabora con varie questure e prefetture sul territorio italiano, essendo esperto di 7 dialetti sub sahariani, e racconta che per esempio a Milano: “I migranti vengono aiutati nella compilazione del C3, il documento che raccoglie tutti i loro dati, corredato dalla richiesta di asilo politico. Devono essere presentati documenti che comprovino quanto dichiarato, se disponibili, come articoli di giornale, foto, documenti ufficiali quali denunce o referti medici; deve essere redatta una memoria scritta, nella propria lingua e/o con una traduzione”
In Italia sono state istituite delle Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, dove ogni singolo migrante viene chiamato a colloquio e ascoltato. In seguito viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio per 6 mesi e lo stato di richiedenti asilo politico.
“L’interprete aiuta la commissione territoriale a capire e valutare se tutti i racconti sono attendibili, vengono poste anche domande di carattere geografico relative alla zona di provenienze, con mappe alla mano, e vengono valutati tanti dettagli minuziosi. E’ nostro compito capire e proteggere i richiedenti asilo, in base anche a tutte le convenzioni internazionali (in primis la Convenzione di Ginevra) -dice ancora il mediatore e aggiunge- l’Italia sta facendo tutto il dovuto, tutto il possibile e anche di più, in termini di accoglienza e aiuto; ora spetta all’Europa ottemperare agli accordi internazionali in base a un piano generale di accoglienza. Non bisogna dimenticare che solo una piccola percentuale di migranti arriva in Italia per risolvere problemi economici, gli altri fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni di carattere politico, religioso, sociale, razziale (in Senegal per esempio l’omosessualità è perseguitata).
Poi M.S. conclude dicendo che l’Italia, senza sterili confronti, è comunque il Paese che più si sta dando da fare per aiutare chi è in difficoltà, e per esempio ha istituito su tutto il territorio nazionale più di 50 Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale; basta pensare che: ” Nella sola Milano ce ne sono ben 2, quando in tutta la Francia se ne conta una sola“.
Paola Mazzullo
www.paolamazzullo.it
L’articolo è stato pubblicato su Ordine e Libertà del 21 ottobre 2016, pag. 7