Sette giorni per creare il mondo, “Sette giorni” per raccontare una storia; scandita nei capitoli dalla liturgia delle Ore. Ore canoniche che sono il pretesto per seguire la giornata di due giovani uomini, legati da una amicizia nata nei primi anni di vita e che languisce nella dissolutezza di una quotidianità banale, in mancanza di ideali. Due vite spaesate che si muovono su una Milano sbandata tra le ore lavorative e quelle passate al bar, in una alternanza di luci e ombre, mattine e nottate, risvegli da mal di testa e notti allucinate. I personaggi sono intrappolati nella nostalgia di una armonia perduta; nella ricerca di una vita ideale nei meandri di quella reale.
Il mattino, del giorno 1 si apre con le “Lodi” e inquadra uno dei personaggi: «Al bancone del bar, ritrova un po’ di pace… davanti alla brioche alla crema. Forse non è il solo per cui quel cappuccino rappresenti il momento migliore della giornata… Nei bar tutti uguali, franchising della depressione».
“Sette giorni”, pubblicato a dicembre 2016, è il primo libro di Pablo Cerini. Lui è italiano, di Busto Arsizio, ma il papà, appassionato di Neruda, ha ceduto alla passione poetica e lo ha battezzato con il nome cileno. Pablo ha presentato il suo libro venerdì 1 dicembre nella libreria “La Memoria del Mondo” di Magenta.
«Ho molti libri nel cassetto, ho esordito con questo per affezione. È un testo un po’ autobiografico, ambientato nel territorio che ho frequentato da ragazzo» dice l’autore che traccia poi un parallelismo tra il suo lavoro e la sua passione per la scrittura.
«Sono un informatico. Nell’ambiente lavorativo scrivo direttive, in codice, per le macchine. Nella vita privata scrivo emozioni per le persone. È come cercare di far convergere due vite parallele; ancora sto cercando la strada e il modo. La scrittura è, in entrambi i casi, un oggetto di ricerca, mi tormenta e mi intriga».
Per quanto riguarda lo stile narrativo dice di essersi ispirato a Irvine Welsh, scrittore e drammaturgo contemporaneo scozzese, che cala le sue storie in atmosfere e spaccati di vita reali, in modo crudo, sfacciato.
Anche Cerini mette a nudo le debolezze di una certa fetta, poco edificante, del mondo dei giovani contemporanei che faticano a trovare la loro realizzazione; realismo di parole e situazioni e uso di un linguaggio immediato, per raccontare, in maniera molto esplicita, anche particolari intimi.
Cerini si è cimentato anche con altri filoni narrativi, dal fantasy al thriller, passando per il racconto storico, come “I silenzi del pianoforte”, testo recentemente presentato al Premio Calvino.
Con “Hamlet was a rapper” è arrivato in finale al concorso “Arthé”, svoltosi a maggio durante il festival dell’editoria indipendente “Liberi sulla carta” di Farfa.
In uno dei “Sette giorni” in cui si compie la storia, Cerini fa vivere i “Vespri”, a uno dei personaggi, così: «Dopo un attacco di depressione sento il desiderio di bere: a essere sobri, si hanno sempre sott’occhio i propri difetti, ed è un modo dannatamente frustrante di complicarsi la vita». L’eco delle parole di Dante, sull’imbrunire del giorno che “’ntenerisce il core”, è lontano, ma quanto accade al protagonista è comunque il pretesto per far riflettere i lettori sulla vita, sul rapporto con la religione, sui vizi e i capricci di una gioventù sbandata.
Il libro si chiude con la “Compieta”, l’ultima preghiera della giornata, quella che si recita prima del riposo notturno. Quella con la quale si invocano la pace e la salvezza.
Paola Mazzullo