Maria Bambina Oldani: “Cantai per Sua Maestà la Regina Madre!”

Maria Bambina Oldani era seduta nelle prime file, sabato 7 gennaio, nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista a Robecco sul Naviglio, per assistere alle meditazioni musicali e canti natalizi del coro polifonico Cantate Domino di Abbiategrasso. Assistere e cantare. E se ne è accorto il presentatore del concerto che, al termine della serata, dopo l’Alleluya e dopo i meritatissimi applausi attribuiti al coro polifonico, ha chiesto un altro applauso, in esclusiva per Maria Bambina.

«Conosco tutti i brani a memoria, ma ho cantato a voce bassissima per non disturbare il concerto “Un bambino è nato per noi”» racconta Maria Bambina che avrà 90 anni a febbraio e ha sempre cantato in chiesa ma anche, e soprattutto, nel coro del dopolavoro della Snia, l’azienda per la quale ha lavorato per 37 anni.

«Tutto è iniziato nel 1961 con il maestro Luigi Stegani; il dopolavoro della Snia ci aveva proposto di formare un coro e una volta a settimana il Maestro veniva da Milano per istruirci e farci cantare. Ci fermavamo dopo il lavoro per due o tre ore. E lo stesso accadeva in ognuno dei 10 stabilimenti Snia sparsi in Italia; ogni sede aveva il suo maestro e il suo coro. Ma era poi il Maestro Stegani, quando si partiva per le trasferte per i concerti, a scegliere quali coristi dovevano partecipare, convocandoli da tutta Italia. In 12 anni non mi ha mai lasciato a casa una volta!» ricorda felice e orgogliosa la signora Maria Bambina.

Un nome singolare il suo, che arriva da quella Santa Maria Nascente a cui è dedicata la cattedrale dell’arcidiocesi di Milano: «A Robecco eravamo in 15 con questo nome, ricorda la signora, ora siamo rimaste in 4».

È del 1963 la prima uscita ufficiale del coro Snia; destinazione Royal Albert Hall, la presigiosa sala da concerti inaugurata nel 1871 a Londra. Ad ascoltare il coro c’era La Regina Elisabetta «Sua Maestà la Regina Madre, nata nel 1900 » sottolinea Maria Bambina.

«Il concerto, con la regia di Franco Zeffirelli, fu organizzato per festeggiare la produttività delle industrie delle fibre artificiali. Ci dirigeva il Maestro Giovanni D’Anzi; quello che ha composto la canzone “Madonina” e per l’occasione aveva musicato anche una canzone per “la seta artificiale”. Noi tutti sventolavamo foulard colorati in rayon. Ne abbiamo regalati anche alla Regina».

A cantare con i coristi c’era anche il tenore Giuseppe Di Stefano e Maria Bambina ricorda bene l’emozione di quella giornata: di quando hanno cantato “O’ sole mio”, di quando hanno inciso il disco con le tre canzoni che più erano piaciute alla Regina “O mia bellaMadunina”, “Roma non fa la stupida” e “O’ sole mio”, delle passeggiate a Londra, della cena tutti insieme.

Tanti sono gli appuntamenti nazionali che affiorano nei ricordi di Maria Bambina… alcuni le sono rimasti più impressi di altri, come quella volta che sono stati invitati a partecipare al concorso dei 30 cori d’Italia ad Arezzo, o a Villa Olmo a Como, o a Cagliari per l’inaugurazione di uno stabilimento sardo, o ancora quando sono stati invitati a Castel Gandolfo a cantare per Papa Giovanni XXIII «Dopo aver ascoltato il nostro “Tu es Petrus” il Papa ha voluto sentire anche un canto di montagna “La montanara” e gli è piaciuta tanto!».

Mentre passa in rassegna i concerti rivive anche le varie fasi dell’industria, di quando il rayon si chiamava seta artificiale per la sua lucentezza, del Lanital la fibra ricavata dalla caseina, la proteina del latte, calda e morbida, poi caduta in disuso e riscoperta negli anni 2000 per le sue qualità anallergiche.

E intanto mi fa assaporare i ricordi dei viaggi, delle feste, delle buone amicizie tra i coristi, il piacere dello stare insieme: «Era proprio un gran divertimento! E le trasferte erano pagate e anche la giornata di lavoro persa».

Per la commozione, prima che si alzasse il sipario, le veniva sempre da piangere: «E il Maestro pazientemente aspettava che io mi asciugassi gli occhi».

Maria Bambina ha una voce da contralto; «Ora non ho più la voce di prima… vista l’età» e sorride continuando a raccontare «Un tempo gli altri coristi chiedevano al Maestro di essere collocati vicino a me, perchè sapevo intonare bene. E pensare che ho sempre cantato a orecchio, conoscendo poco la musica scritta; non sapevo leggere gli spartiti». Maria Bambina cantava in latino, in italiano e in dialetto.

I coristi Snia sono stati più volte presentati da importanti conduttrici televisive come Emma Danieli a Roma, Marisa Borroni a Venezia e Gabriella Farinon a Milano. I costumi erano prodotti dalla sartoria di Elvira Leonardi Bouyeure, in arte Biki, di Milano e, a questo proposito, racconta dell’acconciatura, la sperada, preparata per i costumi da “Lucia Mondella” che risultava però troppo pesante, costringendo le coriste a tenere la testa piegata in una posizione scomoda per cantare, e che fu sostituita con un bel foulard.

È rimasta nel coro Snia fino al 1973; poi Maria Bambina è andata in pensione e ha ricevuto quell’orologio d’oro di riconoscimento alla carriera, che aveva desiderato e una targa ricordo come corista.

Mi mostra anche una foto di gruppo di quando a Robecco, nel giardino di Villa Gromo Ternengo, sono state girate alcune scene de “La puttana del Re” film del 1990 con Valeria Golino. Per quell’occasione erano state scelte 6 coriste della Snia: e lei c’era.

Gli occhi sono rimasti luminosi e vivissimi, grigi e sorridenti, e parlano… tanto quanto la sua voce che racconta ancora di come le piacciano le opere, che seguiva a teatro alla Scala di Milano; del resto ne ha cantate parecchie come corista, anche nel celebre teatro verdiano di Busseto, o al teatro Lirico di Magenta, per la Tosca.

«Ora le opere le ascolto al Cineteatro Agorà di Robecco; non me ne perdo nemmeno una. Amo l’opera e poterla ascoltare con un acustica perfetta e vicino a casa … mi riempie di gioia».

Al Cineteatro ci va con una amica; quando la intervisto si sta preparando per uscire, è già truccata e perfettamente pettinata. Una robecchese doc, del 1927.

 

Paola Mazzullo

www.paolamazzullo.it

L’articolo è stato pubblicato su La Libertà del 13 gennaio 2017, pag. 23